Dott. Corrado Randazzo
Psicologia / Società
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Paure evase – L’unica cosa certa sembra essere l’esserci trovati improvvisamente in un momento in cui non abbiamo risposte, l’essere precipitati in uno momento che diventerà storico per incertezza ed imprevedibilità.
Tutto questo accade proprio nel momento in cui i progressi digitali ci mettevano in condizioni di coltivare l’illusione di poter avere il controllo su tutto.
La pandemia ha provocato l’evasione di paure che avevamo pensato potessero essere chiuse sottochiave in un cassetto.
Paure che si liberano proprio adesso che stavamo credendo di poter sconfiggere definitivamente il più grande trauma dell’umanità: il lutto, a volte travestito da separazioni, altre da perdite, in generale più semplicemente da cambiamento.
Grazie alla possibilità di raggiungerci l’un l’altro istantaneamente e superando barriere di spazio e di tempo grazie ad internet stavamo coltivando la fantasia di non avere barriere e di poter superare il sopportare la distanza.
Sono paure evase che stavamo imparando a scavalcare, ingannando le attese e le mancanze imposte dal tempo “che adesso non passa più” e che solo pochi giorni fa poteva essere sconfitto con un click.
Si sono messe in libertà angosce di contaminazione fino a ieri congelate da razzismo, omofobia, paura delle diversità, che illudevano di poter essere immuni dal virus della paura e della sofferenza solo per il fatto di chiudere i porti e lasciarla sprofondare in mare quella sofferenza.
Temevamo di essere invasi, infettati da persone che venivano da altri mondi, per paura di un contagio forse più psichico che fisico. Abbiamo emarginato temendo di essere emarginati, escluso per paura di essere esclusi, invaso per paura di essere inglobati.
Eravamo quasi ad un passo dal poterci circondare solo di cose simili a noi tenendo lontane quelle diverse.
Avevamo fatto l’occhiolino ad una vita in stile Black Mirror, in cui c’è la possibilità di non rinunciare davvero alle cose o in cui è possibile circondarsi da un mondo bello ma solo esteticamente.
Chissà forse abbiamo anche sperato di poter allontanare l’invecchiamento grazie ad un progresso che ci avrebbe consentito di sembrare sempre giovani.
Il tempo del Coronavirus giunge proprio adesso che avevamo costruito l’illusione di poter controllare persino il clima visto che abbiamo evidentemente creduto di poter continuare a progredire e non inquinare allo stesso tempo e senza ripercussione alcuna.
Certo se tutto questo fosse stato possibile sarebbe stata la conferma che stavamo viaggiando spediti verso l’onnipotenza.
Questo momento in cui l’attesa diventa protagonista, ci fa riflettere su quanto fossimo ad un passo dal credere davvero che si potesse sconfiggere il tempo, il silenzio, la mancanza. Abbiamo creduto alla fantasia di poter essere sempre pieni e di non vivere mai più un senso nostalgia, di perdita, di vuoto.
Un tempo in cui tutti avevamo imparato a correre, ad essere veloci in barba al tempo perso – il tempo senza azione sempre più circoscritto e limitato – in favore di un tempo tutto pieno, tutto utile, tutto produttivo. Ma la terra su cui prosperiamo e che cerchiamo di imitare nella corsa alla vita ci insegna che c’è il tempo della semina e poi l’attesa, solo allora si potrà solo sperare nel raccolto. La natura insegna che esiste tra il desiderare e l’ottenere un tempo, il tempo per sperare. Quel tempo in cui nascono le idee, un tempo per pensare…
Ed ecco il tempo del Coronavirus, un momento traumatico perché rievoca proprio quelle paure sommerse che dovevano rimanere nascoste e che al massimo avrebbero dovuto raggiungere il livello della fantasia ma che invece sono evase e contaminano il piano di realtà provocando come un terremoto il traballare di quelle fantasie di onnipotenza su cui stavamo costruendo le nostre false identità.
La rivolta nelle carceri a cui abbiamo assistito in questi giorni fa pensare al liberarsi di paure profonde che dovevano rimanere rinchiuse ed al fallimento di ogni possibilità di contenimento come al fallimento della rimozione che ci mette in contatto con il trauma.