Genitori adolesenti: l’inversione dei ruoli 16 Gen 2021

Dott. Corrado Randazzo

Adolescenza

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Riflessione tratta dal libro “gli sdraiati”, di Michele Serra

Durante il lavoro con gli adolescenti nella stanza di analisi mi imbatto già da qualche tempo in una curiosa inversione di ruoli. Ricevo spesso la richiesta di appuntamento da un genitore allarmato per i comportamenti del figlio.

Di questa telefonata il figlio non sa nulla, non si sa neanche se sia d’accordo ad incontrarmi ma questo il genitore non lo ha considerato.

Nei colloqui con la coppia genitoriale mi accorgo sempre del fatto che i motivi della preoccupazione risiedono essenzialmente sul fatto che il figlio sognato sembra non corrispondere appieno con il  figlio reale.

La differenza tra il figlio reale ed il figlio idealizzato innesca la miccia di una bomba, rivelando la fantasia – solo genitoriale all’inizio ma che coinvolge tutti gli elementi della famiglia ben presto – che tutto possa esplodere da un momento all’altro.

Il figlio, da parte sua, rischia di interpretare infatti l’insofferenza del genitore come una propria colpa o peggio di credere alla fondatezza di quella preoccupazione sospettando pertanto di non essere come si dovrebbe, di avere qualcosa che non va, di “essere sbagliato”.

Questo esempio rimanda ad una delle possibili cause di disagio adolescenziale ma mi serve a sostenere il concetto di inversione di ruolo.

Genitori adolescenti: l’inversione dei ruoli

La difficoltà del genitore a tollerare il fatto che il figlio sia diverso da come avrebbe desiderato che fosse o che non risponda appieno alle linee guida familiari proposte, sposta il problema del “che cosa sia giusto” sul soddisfacimento dei bisogni del genitore e non più del figlio.

Che il figlio sia come “Io” lo desidero rappresenta un desiderio narcisistico. Una manifestazione affettiva certamente ma che risponde ad un bisogno personale e non alla gratificazione ricevuta dal prendersi cura dell’altro.

All’interno di queste dinamiche relazionali non trova spazio il desiderio dell’altro e in questo caso del figlio.

Se la genitorialità rimane invischiata ed imbrigliata in quel narcisismo che invece è tipico dell’adolescenza, se il genitore per essere felice ha bisogno di un corpo bello, affascinante, intelligente, muscoloso, sano, se un genitore ha bisogno di consensi (like) per essere soddisfatto e non può accettare dissensi, divieti (il “no!”, divieto che i figli impongono al genitore a loro volta), se il genitore prova vergogna per come gli altri lo vedono e per ciò che gli altri possono pensare, allora mi chiedo chi è l’adolescente?

Se ci pensiamo bene l’adolescenza è caratterizzata dal problema del come apparire agli altri. In adolescenza la conoscenza di sé passa per il corpo, il look, l’aspetto fisico, il modo di fare ma se ci pensiamo bene oggi anche tra adulti è sempre di più come per gli adolescenti.

Chi non si fa un’impressione (presunzione di conoscenza di aspetti interni) sull’altro “a prima vista”?

L’adolescente vive un intenso bisogno di approvazione, di riconoscimento. Questa richiesta la rivolge ai genitori in primis ma chissà perché ripiega presto sul mondo extrafamiliare…

Il like che l’adolescente ricerca con tanta ossessività ed ahimè con sempre crescente maniacalità rappresenta quella richiesta di approvazione che un tempo era rivolta ai genitori. Un’approvazione che non aveva il vero scopo di riuscire ad andare ad una festa ma quello di sentirsi dire “sei ok!”, che significa “non sei fatto male”, “non è follia ciò che hai in quella testa”.

Genitori adolescenti: l’inversione dei ruoli

La nuova genitorialità che non tollera la frustrazione che non è disposta ad accettare i “no”, che vuole un corpo perfetto – e non potendoci riuscire proietta questo desiderio sul figlio – che ha bisogno di approvazione, che si vergogna per ciò che dicono gli altri delle apparenze, la nuova genitorialità che non mantiene le promesse e che cede al principio del piacere a discapito del principio di realtà assomiglia proprio al ritorno all’adolescenza o forse è più  giusto dire ad un’adolescenza mai terminata.

Dal canto loro gli adolescenti, che non trovano una funzione genitoriale contenitiva, capace di sopportare la differenza, di rinunciare ai propri sogni, di desiderare il desiderio del figlio (M. Recalcati), si trovano ad un bivio:

  • Credere a ciò che accade e cioè che i genitori non li capiscono e che per tanto è vero che sono sostenuti da un pensiero irrazionale, insensato, fuori luogo, in poche parole folle. Questo può produrre diverse conseguenze che vanno dalla rinuncia pulsionale, che è visibile come inibizione affettiva, alla posizione diametralmente opposta ed evacuativa che porta ad agire pensieri disfunzionali con l’illusione di liberarsi di quei pensieri insensati e folli. Questo aspetto si evince dalla messa in atto di comportamenti caratterizzati da rabbia espressa verso il mondo e verso se’ stessi (Aggressività autodiretta ed aggressività eterodiretta). Questa possibilità racchiude una grossa fetta di patologie relative al disagio aolescenziale. 
  • Non credere all’insensatezza del proprio pensare ma piuttosto ad un rifiuto da parte dei genitori e di conseguenza misurare il proprio coraggio di riuscire ad andare avanti lo stesso anche se senza approvazione. Questa possibilità è concepibile solo grazie ad una capacità elaborativa dell’adolescente che interpreta la disapprovazione genitoriale o la mancanza di comprensione del genitore come un limite dello stesso più tosto che come un attacco ricevuto. La capacità dell’adolescente di capire e tollerare le paure dell’adulto dinnanzi alla propria diversità, che chiamerei unicità, rappresenta quella funzione di contenimento rivolte alle paure tipiche della prima relazione madre-bambino.
    (nota 1* la preoccupazione per la fonte)

 
Questo sguardo sull’universo genitore-adolescente rappresenta certamente uno tra i diversi punti di vista da cui possiamo osservare questo rapporto ma credo che riguardi con molta probabilità uno degli sviluppi più attuali.
 

In conclusione

Questa mia riflessione pone l’accento su un’inversione di ruoli che evidenzia come la nuova genitorialità annaspi all’interno di condotte adolescenziali sempre più pervasive che rallentano i processi di maturazione dell’adulto.

Per maturità credo possa intendersi ancora, almeno in generale, la capacità di tollerare una perdita, il comprendere di aver perso qualcosa, che ciò che amiamo di più non è proprio come lo avremmo desiderato.

Allo stesso tempo il mio discorso si sofferma sul tentativo di assolvere assumendone la funzione, da parte dell’adolescente, sostituendosi a quel vuoto di una funzione genitoriale che sembra essere carente, precaria o addirittura assente.

Il mio intento non è certamente quello di presentarvi quella attuale come un’adolescenza matura capace di assolvere o sostituire il genitore ma al contrario sottolineare un allarme, in quanto tale inversione di ruolo, dovuta al fatto che l’adolescente assuma il ruolo di genitore per rimettere in piedi quel rapporto che dovrebbe esserci e che non c’è, determina un pesante lavoro per il figlio che si esprime in termini di grave disagio adolescenziale questa volta in ambito di crisi identitaria.

Questi importanti e complessi ordini di conflitti espressi nelle difficili scelte identitarie sono in aumento tra i giovani e rappresentano un’altra importante fetta di quella grande torta del disagio adolescenziale.

Dr. Corrado Randazzo
Psicologo e Psicoterapeuta SIPSIA


nota 1* la preoccupazione per la fonte

Inversione di ruoli in infanzia

Dai riscontri ottenuti in ambito di psicoanalisi infantile sembra emergere una dinamica relazionale all’interno della quale il bambino si preoccupa per la salute dei genitori secondo uno schema simile se non identico a quello della preoccupazione materna primaria (D. Winnicott).

Secondo tale schema la madre si ammala di amore per il bambino a tal punto da essere cosi vicina da sentirne lo stato d’animo.

Allo stesso modo sembra agire il bambino nei confronti dei genitori. Il bambino si ammala a causa della instabilità emotiva e fisica dei genitori (Provate ad osservare la reazione del bambino che sente che la mamma sta male…). Il bambino sembra mostrare una maggiore preoccupazione per l’oggetto madre che per l’oggetto se’).

In definitiva sembra che l’angoscia del soggetto sia legata alla consapevolezza o meno della sopravvivenza dell’oggetto. È come se l’individuo avesse un bisogno primario di assicurarsi che la fonte di nutrimento sia inesauribile.

Credo che gli esseri umani abbiano dimostrato di poter sostenere l’angoscia della perdita e del lutto ma allo stesso tempo di non poter tollerare l’angoscia che le risorse della terra, essenziali per la nostra esistenza, possano o stiano per esaurirsi.

L’eterna ricerca della continuità delle cose, la tensione verso l’onnipotenza, la negazione della fallibilità dell’oggetto, credo ne siano una evidente testimonianza.

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Gaspare Messina

Ottima e lucida analisi, più che mai tangibile ai giorni nostri.