Area psicologica
Risponde il Dott. Corrado Randazzo | Psicologo e Psicoterapeuta
Lo Psichiatra è laureato in medicina e specializzato in psichiatria.
Il suo intervento specifico concerne la prescrizione e somministrazione di psicofarmaci ma è abilitato anche all’esercizio della psicoterapia. Il sostegno farmacologico al paziente è una modalità di approccio alla cura psichica peculiare della Psichiatria.
In realtà gli psicofarmaci possono essere prescritti da altri medici ma sarebbe opportuno che fossero prescritti dallo Psichiatra dopo apposita visita psichiatrica (vedi servizio di psichiatria) e somministrati all’interno di un percorso terapeutico predefinito e monitorato con frequenza stabilita (colloquio di controllo – serv.di psichiatria) dallo stesso Psichiatra al fine di regolare la cura modulandola, riducendo o aumentando la posologia farmacologica in funzione dello stato del paziente.
Lo Psicologo è laureato alla facoltà di psicologia ed ha sostenuto l’esame di stato di abilitazione all’esercizio della professione.
Il suo intervento sugli aspetti psichici della persona riguarda l’area psicodiagnostica e la conduzione di colloqui di sostegno psicologico.
Lo psicologo, non avendo formazione psicoterapeutica non può esercitare la Psicoterapia.
Quello psicologico pertanto, quando non è un colloquio diagnostico, viene definito “Colloquio di sostegno” della persona.
Il colloquio di sostegno non è un colloquio psicoterapeutico ma può essere esercitata la funzione di “ascolto attivo”. Tali colloqui permettono al paziente di beneficiare dello sguardo su di se’ da altra prospettiva. Questo può migliorare lo stato della persona poiché favorisce la crescita nel riconoscimento di quelle condotte manifeste della persona ma non percepibili dalla stessa.
Lo Psicoterapeuta è laureato in psicologia o in medicina e specializzato in Psicoterapia.
Le scuole di abilitazione in psicoterapia riconosciute dal MIUR hanno durata di quattro anni e si distinguono a seconda dell’orientamento.
Gli orientamenti teorici più conosciuti sono:
– la scuola psicoanalitica
– la scuola adleriana
– la scuola cognitivo-comportamentale
– la scuola sistemico relazionale
– la scuola transpersonale
– altre…
L’intervento dello Psicoterapeuta a sostegno e cura del disagio psichico può avvalersi di diverse tecniche psicoterapeutiche a seconda dell’orientamento della scuola di formazione.
Alcuni approcci psicoterapeutici tendono a focalizzare il concetto di cura sul comportamento manifesto della persona e sul sintomo mentre per altri orientamenti, quelli psicodinamici, l’interesse è rivolto alla comprensione delle dinamiche psichiche che precedono il sintomo e lo determinano.
Le diverse scuole di formazione in psicoterapia pertanto rappresentano un bivio per gli psicologi che diventeranno psicoterapeuti poiché sviluppano concezioni sulla clinica non soltanto differenti ma diametralmente opposte.
La Psicoanalisi e le scuole ad orientamento psicodinamico sostengono che per consentire alla persona di venire a capo dei propri conflitti e per modificare le condotte disfunzionali che provocano malessere non sia sufficiente allontanarsi dal sintomo, come sostengono altre scuole di psicoterapia, ma che sia necessario un lavoro più profondo di scoperta e riconoscimento di processi di funzionamento di cui la persona non è consapevole.
Risponde il Dott. Corrado Randazzo | Psicologo e Psicoterapeuta
Con il termine psicoterapia si intende la relazione terapeutica tra paziente e psicoterapeuta che abbia come obiettivo il superamento di un disagio psichico e delle condotte disfunzionali per la persona.
La psicoanalisi fu la prima tecnica psicoterapeutica nata grazie ai tentativi di Sigmund Freud di dare un fondamento scientifico ai “fenomeni dell’accadere psichico”.
Da essa nacquero discostandosene col tempo tutte le altre forme di psicoterapia. Nel fare la distinzione tra psicoterapia psicoanalitica e psicoterapie non psicoanalitiche, non si intende proporre una suddivisione grossolana bensì, forse per eccesso di semplificazione, individuare un grande presupposto concettuale su cui si fondano i vari orientamenti psicoterapeutici: la Psicoanalisi e le psicoterapie ad orientamento psicodinamico si distinguono dalle altre psicoterapie per il valore che attribuiscono all’inconscio.
Gli orientamenti psicoterapeutici che si discostano dalla Psicoanalisi, si propongono di raggiungere l’obiettivo del benessere psichico della persona escludendo la centralità del livello inconscio e svalutando l’influenza delle relazioni primarie nella vita adulta.
Gli orientamenti psicodinamici, e la Psicoanalisi in primis, sostengono invece che le prime relazioni di un individuo con l’ambiente in cui nasce e cresce, siano momenti fondamentali per il consolidamento dalla struttura di personalità e che tali momenti influiscano notevolmente sulle future dinamiche relazionali. Questo sembra scaturire a seguito di una comunicazione tra il bambino ed il suo ambiente primario, che non può avvenire certamente a livello verbale ne tanto meno attraverso quello cognitivo.
Tuttavia nonostante questo la comunicazione tra il bambino e l’ambiente primario avviene in quanto i neonati mostrano di crescere e svilupparsi grazie all’interazione con l’ambiente in cui vivono.
Ne risulta che deve necessariamente esistere una funzione già insita nel neonato in grado di interagire con l’ambiente e che tale funzione non coincida con i processi cognitivi (che si sviluppano più tardi) ma con processi inconsci.
In definitiva, le psicoterapie ad orientamento psicoanalitico sostengono che il riconoscimento delle dinamiche inconsce della persona rappresentino un presupposto imprescindibile per il raggiungimento del benessere della stessa.
Si distinguono:
– Psicoterapie ad orientamento Psicoanalitico
Sostengono l’importanza del mondo interno e che risolvere ed affrontare il disagio della persona abbia a che fare con un processo di significazione: la capacità di dare significato, individuando una logica interna e soggettiva, a ciò che ad un soggetto sembra insensato o folle.
Il processo Psicoanalitico rappresenta pertanto un processo di revisione di se’ inteso come scoperta di dinamiche interne e spesso non riconoscibili dal soggetto stesso, che si svolge a partire dalle libere associazioni della persona in seduta.
Queste associazioni vengono trattate dallo psicoanalista come contenuti di un sogno, come scene cioè che raccontano il vissuto di un soggetto e lo esprimono a livello simbolico.
Da qui si evince l’importanza dell’interpretazione psicoanalitica, che si differenzia da quella di altre psicoterapie.
La relazione psicoanalitica si distingue: per il fatto di prendere in carico tutta la “storia” del soggetto e non soltanto la sua parte “malata”; per il rispetto del modo e dei tempi attraverso i quali egli può raccontarla; tollerando le omissioni e le bugie che la costellano. Tutti questi elementi, le resistenze, le omissioni, le sedute mancate, la finzione, rappresentano per la Psicoanalisi la più preziosa forma di comunicazione disponibile alla persona.
Il processo Psicoanalitico è risolutivo solo nella misura in cui è contenitivo. La capacità dell’analista di contenere, piuttosto che giudicare, obiettare, consigliare, suggerire, consente al paziente di sentirsi accolto per ciò che è e non per come dovrebbe invece essere.
Un’altra caratteristica degli approcci psicoanalitici riguarda la neutralità dell’analista che riflette una diversa immagine di se’, come uno specchio che riflette la nostra immagine da un’altra prospettiva.
È per questo che per le psicoterapie Psicoanalitiche è fondamentale che il terapeuta sia una persona estranea e non collegata all’ambiente familiare o amicale.
La Psicoanalisi non si pone come obiettivo la cura, poiché non considera la persona un malato, ma la comprensione del senso delle sue scelte attraverso la ricostruzione di una storia personale è soggettiva.
La scoperta di senso, che include le paure nascoste, i sentimenti inconfessati, libera dai sensi di colpa e rappresenta una revisione e ricostruzione di se’.
È proprio il riconoscimento delle dinamiche inconsce della persona che favorisce il cambiamento nel momento in cui genera un pensiero mai avuto prima. La stanza di analisi può essere intesa come un luogo per pensare, lo spazio dei nuovi pensieri.
La pensabilità è necessaria ad un processo trasformativo che abbia le sue radici nella parte più profonda della persona e che porti a cambiamenti che perdurino.
– Psicoterapie ad altro orientamento
(Cognitiva, comportamentale, bioenergetica, sistemico-relazionale, della Gestalt e tante altre…)
Si tratta di altre forme di trattamento psicologico che inquadrano il concetto di cura in relazione al sintomo. Già questa concezione del sostegno alla persona crea una profonda linea di demarcazione che separa le altre psicoterapie dalla Psicoanalisi.
I trattamenti psicoterapeutici come quelli cognitivo-comportamentali ad esempio, mirano ad individuare una condotta disfunzionale nella persona ed a combatterla. Questo atteggiamento si rivolge al sintomo e spesso lo decondiziona, provocando un’apparente risoluzione del problema e generando la soddisfazione del paziente.
Il sintomo è vero che rappresenta motivo di disagio e di malessere per la persona ma è anche vero che, come avviene quando il sintomo è di natura organica, esso si sviluppa come modalità di risposta soggettiva ad un malfunzionamento interno. Rappresenta quindi una forma di adattamento per l’individuo e di risposta soggettiva ad una criticità.
Il rischio di eliminare i sintomi senza preoccuparsi di porre la persona al riparo da quella criticità è di sfornire la persona stessa di un meccanismo di difesa messo in atto per far fronte ad una maggiore sofferenza e quindi di provocare uno spostamento del disagio in altre aree della persona.
Frequentemente si rileva che il non riconoscimento della natura e delle cause di dinamiche disfunzionali profonde nella persona provoca uno spostamento di quella disfunzionalita sull’organismo.
Essendo i percorsi terapeutici molto differenti l’uno dall’altro è importante per chi si rivolge ad uno psicoterapeuta informarsi sul suo orientamento psicoterapico. E’ un diritto pertanto informarsi sempre sulla qualifica del professionista che ci accoglie, se si tratta di psicologo, psichiatra o psicoterapeuta e su quale sia il suo orientamento e la sua formazione.
Risponde il Dott. Corrado Randazzo | Psicologo e Psicoterapeuta
È importante ammettere che quando ci si trova ad ipotizzare un disagio psicologico troppo spesso si chiude un occhio e a volte anche tutti e due.
Il disagio psicologico e quindi emotivo rappresenta il primo segnale attraverso il quale la persona denuncia una sofferenza. Tale disagio tuttavia se viene sottovalutato, sminuito oppure altre volte trascurato o ignorato a volte può diminuire d’intensità dando l’illusione di essere stato superato.
Questo può accadere ad esempio se si è trovato un sostegno alternativo che abbia consentito di non affrontare la reale situazione, o perché si riesce a negare il problema e quindi la sofferenza, oppure quando si cerca di distrarsene.
Altre volte però, quando falliscono le strategie alternative, il disagio diventa insostenibile.
In questi casi in cui la richiesta emotiva non viene ascoltata dalla persona stessa che l’avverte, intervengono a difesa della stabilità della persona i meccanismi di difesa (“L’Io e i meccanismi di difesa”, Anna Freud). Tali meccanismi di difesa determinano degli effetti che consistono nella comparsa dei sintomi che possono esprimersi a livello organico o a livello psichico.
Il ricorso al colloquio psicologico dovrebbe essere il primo passo da intraprendere quando ci troviamo dinnanzi a sintomi o disturbi che hanno a che fare con il livello emotivo e delle condotte psicologiche disfunzionali della persona.
Ad oggi invece risulta che una scarsa percentuale di persone (solo le più informate lo fanno) che riscontrano un disagio psichico si rivolgono agli psicologi e psicoterapeuti e che la maggior parte invece ricorre al medico di base o ad altre figure mediche non specializzate.
Un’altra percentuale mette in atto strategie evitanti, come potrebbe essere ad esempio lo shopping compulsivo mentre una altra percentuale, purtroppo non esigua, si rivolge a figure che si spacciano per mediche oppure a tecniche di rilassamento e pratiche varie più o meno religiose.
Il contributo della psicosomatica, e tanti altri dati emergenti, dimostrano che un disagio psichico passa sempre per il piano emotivo prima, comportamentale poi, prima di strutturarsi come disturbo di personalità.
Quando però il carico emotivo è eccessivo e non è possibile regolarlo neanche per mezzo di un deficit psichico, come è il disturbo di personalità, esso utilizza i canali somatici per esprimersi (Somatizzazione).
Si tratta di deficit organici legati a problematiche psichiche, ricadute di fenomeni psichici su canali somatici che Freud individuò durante i suoi studi sull’isteria e che definì “fenomeni di conversione isterica”, (OPS “Studi sull’isteria”).
Per rispondere alla domanda è fondamentale conoscere i canali attraverso i quali si esprime il disagio psichico.
I segnali che indicano una richiesta d’aiuto seguono le seguenti fasi:
– Il canale emotivo (pensieri)
– Il canale comportamentale (azioni)
– Il canale sintomatologico-comportamentale (disturbi del comportamento ecc..)
– Il canale somatico (controllo sfinterico, disturbi dell’alimentazione, disturbi del sonno, disturbi epidermici, caratteristiche posturali…)
Riscontri clinici rivelano che spesso purtroppo ci si rivolge alle psicoterapie Psicoanalitiche solo quando falliscono altre forme di psicoterapia oppure quando il disagio si esprime ormai a livello dei canali somatici, cioè attraverso il corpo.
Riscontri clinici rivelano una notevole incidenza di casi in cui, evidenziata dalle stesse famiglie una problematica di natura psicologica, si preferisce ospedalizzare bambini e negli adolescenti piuttosto che ricorrere agli psicologi.
Il ricorso alla struttura medica e ospedaliera è certamente un segno di preoccupazione genitoriale ed allo stesso tempo di cura per i figli. Va preso atto tuttavia che la sofferenza si esprime sempre preventivamente attraverso segni di disagio psichico.
Il più grave errore è pensare ancora oggi che il disagio psichico sia più grave di un disagio organico nonostante si riconosca che gli aspetti psicologici sono di per se mutabili mentre quelli organici sono di per se stabili.
Risponde il Dott. Corrado Randazzo | Psicologo e Psicoterapeuta
Intraprendere un percorso di analisi personale è doveroso quanto meno per chi diventa Psicoterapeuta.
Il periodo di training di analisi personale tuttavia non è sempre richiesto dalle scuole di formazione in psicoterapia agli psicologi che vogliono diventare psicoterapeuti.
Nelle scuole ad orientamento Psicoanalitico è obbligatorio che i diplomati Psicoterapeuti abbiano svolto e portato a termine un percorso di analisi personale.
Il presupposto su cui si fondano le scuole ad orientamento Psicoanalitico è che non sia possibile per lo Psicoterapeuta farsi carico in maniera neutrale dei contenuti esposti dal paziente se non è in grado di discernerli dai propri vissuti.
Qualunque relazione interpersonale in cui si trovi un individuo, che si tratti psicologi o meno, rimanda (come per effetto di un fenomeno chiamato di risonanza emotiva) inevitabilmente alla sua storia personale. Non fa eccezione uno psicologo o uno psicoterapeuta.
Per fare un esempio se una persona racconta in seduta la natura della propria angoscia ed essa coincide con momenti di vita irrisolti dello psicoterapeuta è impensabile che possa stabilirsi una relazione d’aiuto. È verosimile piuttosto che lo psicoterapeuta stesso possa difendersi, senza accorgersene, da vissuti emotivi dolorosi condivisi col paziente.
Ogni persona, parlando di se’ e della propria storia, rievoca necessariamente la storia ed i conflitti del suo interlocutore.
La capacità dell’analista di non rifuggire da quegli argomenti tristi o scottanti che deve riuscire a contenere dipende dalla sua capacità di non colludere con essi.
La collusione psichica consiste in sostanza nella ripetizione della storia del paziente da parte dell’analista (dovuta all’impossibilità dell’analista di riconoscersi come oggetto del transfert del paziente).
Non colludere significa distinguere la storia del paziente dalla propria così da rivelare a lui gli aspetti soggettivi che contraddistinguono la sua di storia (e non quelli che contraddistinguono la storia dell’analista).
Questa possibilità, di non colludere con le angosce del paziente, dipende dal lavoro che l’analista ha potuto svolgere su di se’ e da quanto l’analista abbia potuto elaborare le propria condizione psichica ed accettare i propri limiti.
In altre parole questo è fortemente dovuto al training di analisi personale dello psicologo, quel percorso rivolto al riconoscimento di se’ e quindi dei propri conflitti e dei propri limiti.
Questi sono obiettivi raggiungibili soltanto attraverso la Psicoanalisi e le psicoterapie ad orientamento psicodinamico.
In definitiva non tutti gli psicoterapeuti sono andati dallo psicologo.
Risponde la Dott.ssa Monica Faranda | Psicologo e Psicoterapeuta
Ciò che dovrebbe indurre un genitore a chiedere una “consultazione psicologica” presso uno psicoterapeuta infantile è il sentore che il bambino presenti un disagio che crea intralcio nel suo vivere serenamente le esperienze della quotidianità ovvero giocare, relazionarsi con gli altri, frequentare ambiti scolastici, ludici e/o sociali senza troppe difficoltà.
Anche un funzionamento non adeguato nei seguenti ambiti: sfera alimentare, ritmo sonno/veglia, controllo degli sfinteri potrebbero talvolta essere i segnali di un sottostante disagio di natura psicologica.
Il “disagio” rilevato dal genitore nel bambino, non quantificabile, potrebbe essere di livello alto, medio o lieve, ma – in ogni caso – intervenire precocemente è sempre importante sia per fugare il dubbio della presenza di una reale sofferenza psicologica sia, al contrario, per individuare precocemente delle difficoltà e poter prestare un aiuto tempestivo al bimbo ed ai suoi genitori.
Risponde la Dott.ssa Fabrizia Strangio | Psicologo
Le attività che il compagno adulto può attuare con le persone interessate ad accedere al servizio sono: uscite esterne mirate all’acquisizione o al recupero della socializzazione attraverso la conoscenza del proprio territorio; utilizzo dei mezzi pubblici per favorire l’abilita dell’autonomia negli spostamenti; accompagnamento durante l’accesso ai servizi offerti dal territorio (bar, negozi, associazioni, strutture sanitarie ecc.); supporto per un inserimento graduale in un gruppo di pari (accompagnamento nell’inserimento del ragazzo in gruppi ricreativi o laboratoriali); qualora la persona frequenti la scuola, supporto all’autonomia nelle attività sociali del gruppo classe.
Chiaramente il senso del lavoro del compagno adulto non può esaurirsi in un semplice elenco di compiti. Alla base della relazione con questa figura professionale c’è la costruzione di una relazione affettiva significativa per l’utente, il quale gradualmente si affiderà al professionista, riconoscendolo interiormente come figura di riferimento con cui potrà sentirsi libero di esprimere i propri stati d’animo e le emozioni, in funzione di una riflessione e di un’elaborazione di essi.
Risponde la Dott.ssa Alessandra D’Onofrio | Psicologo e Psicoterapeuta
Per alcune persone questa scoperta può essere più facile e per altre più complessa; a volte si capisce in adolescenza, si intuisce magari e poi si cercano le conferme con le prime esperienze sentimentali e sessuali; a volte la paura della diversità, i pregiudizi interiorizzati e la paura del giudizio dei genitori e degli altri, nonostante alcune avvisaglie fin da piccoli, rendono la presa di coscienza molto difficile e conflittuale. A volte fino al punto di negarla del tutto.
Ciò comporta molta confusione.
Può essere utile pertanto rivolgersi ad uno psicologo che può aiutare a sgombrare il campo dalla confusione e dalla paura, per cercare insieme la risposta, senza pregiudizi o risposte preconfezionate, dentro una relazione terapeutica che farà da “base sicura” e dove esplorare ed esprimere se stessi liberamente.
Risponde la Dott.ssa Alessandra D’Onofrio | Psicologo e Psicoterapeuta
L’omosessualità è uno degli orientamenti possibili della sessualità umana. Per questo non si può curare, perché non è da ritenersi una malattia. Si sa che a lungo è stata definita una patologia, e per questo ci fu la tendenza a trattarla con la cosiddetta “terapia riparativa”, che oggi il mondo scientifico non legittima più. Diciamo di più: le “terapie riparative” o “di conversione” e le strutture che le propongono dovrebbero essere denunciate e soggette a sanzioni, e considerate lesive nei confronti del diritto alla salute poiché danneggiano il benessere individuale e collettivo.
Risponde la Dott.ssa Alessandra D’Onofrio | Psicologo e Psicoterapeuta
No, non è possibile. La psicoterapia non è catechesi, nè terapia ideologica. La psicoterapia ha come finalità gli interessi dell’individuo che la chiede. In questo senso il terapeuta manterrà un atteggiamento positivo verso l’ipotesi omosessuale indipendentemente dal contenuto dello scambio terapeutico, per creare uno spazio di sviluppo possibile, dove il paziente possa sentire, qualora provi tali desideri, di poterli esprimere.
Risponde la Dott.ssa Alessandra D’Onofrio | Psicologo e Psicoterapeuta
Questo tipo di notizia spesso rappresenta una causa di forte dolore e, conseguentemente, di conflitto in famiglia. Molti genitori non accettano che il proprio figlio sia omosessuale.
Averlo comunicato ai genitori rappresenta, in realtà, un gesto di affetto, di fiducia, di speranza e, non ultimo, di coraggio.
L’orientamento sessuale non si sceglie. Si domandi, quando pensa di convincere suo figlio a diventare eterosessuale, se lei potrebbe diventare a sua volta omosessuale: ci riuscirebbe? Lo sentirebbe contro-natura: ecco, lo stesso vale per suo figlio. Un mio paziente omosessuale che da anni lotta contro il desiderio e la paura di dirlo ai genitori, una volta mi ha detto “dottoressa… se potessi, sceglierei di essere eterosessuale, sarebbe tutto più facile… ma non ci riesco”.
Le suggerisco di rivolgersi ad un tecnico, per un percorso focalizzato sull’accettazione dell’omosessualità di suo figlio anzi, sull’accettazione nella sua “reale interezza”. Ciò gioverebbe a suo figlio e a lei, ne risulterebbe un rapporto autentico, basato sull’amore vero ed incondizionato, proprio a partire dalle sue aspettative deluse. E non pensi che per suo figlio sia facile… ma almeno, lei stai dalla sua parte: cambierebbe tanto questo per lui, sarebbe di grande incoraggiamento. Suo figlio gliene sarebbe molto grato, e lei dimostrerebbe di essere capace di cambiare idea, e di essere amato e stimato.
Risponde la Dott.ssa Alessandra D’Onofrio | Psicologo e Psicoterapeuta
Uno degli aspetti più complessi dell’omosessualità è il cosiddetto coming out ovvero la rivelazione fatta dal soggetto (differente dal outing ovvero la rivelazione fatta da altri, di solito contro la sua volontà e/o senza il suo consenso. Si tratta di una distinzione lessicale che rispecchia una differenza a livello psicologico: una persona può subire l’outing oppure scegliere di fare coming out).
Trovare il coraggio di farsi aiutare da un esperto è la strada migliore. Nella terapia sarà possibile analizzare il significato psicologico di questa domanda e le possibili ricadute pratiche che il coming out potrebbe avere sulla sua vita.
Sebbene sia ampiamente evidenziata la portata degli effetti positivi del coming out sullo sviluppo individuale, l’eventualità di una reazione negativa anche di elevata intensità non è troppo remota, specie in certi contesti sociali e culturali.
Area medica
Risponde la Dott.ssa Monica Di Stefano | Neuropsichiatra infantile
In questi casi è sempre consigliabile una valutazione neuropsichiatrica al fine di valutare lo sviluppo globale del bambino e anche al fine di indirizzare i caregiver ovvero i genitori/nonni e chiunque abbia contatto col bambino ad instaurare delle strategie comunicative funzionali e fornire degli stimoli adeguati al minore.
Risponde la Dott.ssa Monica Di Stefano | Neuropsichiatra infantile
Se la data proposta dalla struttura pubblica è eccessivamente protratta nel tempo a causa di lunghe liste d’attesa, nelle more, la scuola può utilizzare una certificazione/valutazione effettuata presso struttura privata.
Risponde la Dott.ssa Monica Di Stefano | Neuropsichiatra infantile
La diagnosi di dislessia, secondo le attuali linee guida, può essere fatta a partire dalla III elementare poiché le difficoltà che compaiono nelle classi precedenti sono comuni anche a bambini che non sono dislessici. Inoltre la diagnosi viene fatta escludendo che il minore non sia affetto da deficit o ritardo cognitivo o disturbi di natura sensoriale. Per tale motivo occorre che la valutazione degli apprendimenti sia sempre ampia e comprenda una preliminare valutazione dell’assetto cognitivo del soggetto e da una accurata valutazione neuropsichiatrica.
Risponde la Dott.ssa Marta Liotta | Allergologa
Si deve puntare sulla qualità della nutrizione infantile, perché fin dall’inizio l’uomo possa apprendere comportamenti alimentari più corretti. Certamente è più faticoso per un adulto correggere gli squilibri della propria dieta che non per un bambino apprendere subito una dieta corretta.
Il cibo ha un ruolo importante nella vita dei nostri bambini ed e per questo che il nostro obiettivo sarà quello di rimuovere gli eventuali errori e impostare quell’educazione alimentare che servirà in futuro ad avere adulti che riscoprano il piacere di mangiare meglio.
Risponde la Dott.ssa Simona Brigandì | Biologo nutrizionista
L’allergologo è un medico che, dopo la Laurea, ha conseguito la specializzazione in Allergologia e Immunologia Clinica, ed è l’unico specialista di riferimento per la diagnosi e il trattamento delle malattie allergiche.
Le malattie allergiche spesso interessano più organi contemporaneamente, sono cioè patologie sistemiche, la cui gestione richiede una valutazione che vada oltre il semplice approccio all’organo interessato, ricercando, sulla base delle informazioni fornite dal paziente, tutte le possibili comorbilità, i fattori di rischio e i cofattori.
Un altro importante compito che spetta all’allergologo è di cercare di prevenire le malattie allergiche attraverso l’educazione dei pazienti, dei loro familiari e la collaborazione con il medico di medicina generale e il pediatra di libera scelta.
Area riabilitativa
Risponde la Dott.ssa Ilenia Campione | Logopedista
Sempre più spesso si sente parlare di logopedia e molto dipende dal fatto che la nostra è una società che sta cambiando. I bambini di oggi sono esposti prima all’ambiente sociale e in questo contesto una difficoltà del linguaggio viene notata con maggiore facilità rispetto al passato.
Dal punto di vista del linguaggio spesso non c’è una buona informazione, gli stessi specialisti tendono a sottovalutare la questione rimandando quanto più possibile un intervento logopedico. Il logopedista interviene in tutte le fasi dell’apprendimento del linguaggio, a partire dalla lallazione, al primo approccio al parlato da parte del neonato, fino all’ampliamento della frase, passando per la lettura, la scrittura, la deglutizione, e molto altro.
Le opinioni riguardo a quando occorre rivolgersi al logopedista vedono due linee di pensiero:
- ci sono genitori che tendono ad aspettare che il problema si risolva da solo, ma questo non causa altro che il consolidamento del problema;
- altri genitori si rivolgono al logopedista su consiglio di specialisti o spontaneamente preoccupati dal fatto che il bambino abbia difficoltà di linguaggio.
Se si hanno dubbi sul modo di parlare del bambino è bene leggere come avviene lo sviluppo tipico del linguaggio e verificare se il bambino ha raggiunto le fasi tipiche o se si riscontra la presenza dei campanelli d’allarme.
Se un tempo non si faceva troppo caso a un bambino di quattro anni che non parlava correttamente, ora è un fatto che non può passare inosservato e che spesso nasconde un problema, che a sua volta può avere delle conseguenze. Come afferma Silvana Quadrino, psicologa e psicoterapeuta della famiglia:
Sui banchi di scuola, dove viene privilegiata la parola, i bambini che si esprimono poco e male possono avere problemi che limitano sia il loro apprendimento, sia il loro sviluppo emotivo: possono diventare introversi o isolarsi. Oppure, vivere come un calvario l’esperienza scolastica.
Quindi un disturbo del linguaggio può ripercuotersi sull’aspetto comportamentale. Ma è spesso correlato a una difficoltà di apprendimento alla scuola primaria.
L’intervento tempestivo è importante per il futuro rendimento scolastico perchè può prevenire innanzitutto una successiva difficoltà di apprendimento ed evitare quindi una sua evoluzione. La cosa migliore è che il bambino risolva il problema prima dell’accesso alla scuola primaria.
Monitorare lo sviluppo linguistico del proprio figlio è fondamentale, e i genitori sono i primi che possono notare eventuali campanelli d’allarme, intervenendo, quando è il caso, per stimolarlo.
È bene quindi rivolgersi al logopedista se il bambino:
- Non ha ancora cominciato a parlare a 2 anni.
- Non sembra comprendere gli ordini, anche i più semplici, o le parole.
- Non ha una buona coordinazione.
- A due anni produce meno di 10 parole.
- A 30 mesi produce meno di 50 parole.
- Non si esprime in maniera comprensibile, soprattutto fra i 3 e i 4 anni.
- A 4 anni non pronuncia alcuni suoni (dice cudo invece di scudo; sella o tella invece di stella; simmia o timmia invece di scimmia;lana o ana invece di rana; cottello invece di coltello, ecc).
- Non ha una buona comunicazione con i suoi coetanei.
- A 4 anni inverte la sequenza di sillabe all’interno della parola (saca invece di casa, poto invece di topo, ecc).
- Parla usando solo due sillabe.
- Non socializza con gli altri bambini.
- Non sa disegnare e ha una cattiva coordinazione.
- Non deglutisce bene.
- Respira solo utilizzando la bocca.
Se si presentano queste situazioni è bene che il bambino venga valutato, monitorato ed eventualmente seguito da uno specialista.