IDENTITA’ DI GENERE
L’intento nel proporre questo servizio è di sostenere non solo le persone LGBT (acronimo utilizzato per riferirci a persone lesbiche, gay, bisessuali e trans-gender), ma anche tutti coloro che per motivi diversi (genitori, fratelli, amici, insegnanti, educatori, professionisti) si interrogano sulle diverse dimensioni e i differenti significati connessi all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
L’obiettivo dunque è di provare a fare chiarezza, liberando una serie di termini e vocaboli da stereotipi, pregiudizi e stigmi, favorendo nei cittadini tutti un’informazione corretta.
Nel riferirci a persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) è fondamentale fare attenzione alla terminologia che usiamo, perché i termini e i concetti espressi hanno un potente impatto sulla costruzione della realtà e, quindi della discriminazione. Il rischio, infatti, se non si pone attenzione e rispetto, è che si crei distanza e confusione, aspetti che alimentano il pregiudizio lo stigma sociale.
Iniziamo dunque dal rispondere ad alcune domande le cui risposte ne anticipano altre.
Che cos’è l’identità sessuale?
È una dimensione soggettiva e personale del proprio essere sessuato. Essa risponde ad una esigenza di classificazione e stabilità.
È composta da 4 fattori differenti, sui quali si fa ancora molta confusione.
Essi sono: il sesso biologico, l’identità di genere, l’orientamento sessuale, il ruolo di genere.
L’immagine che segue può aiutare nel fare le differenze.
- il sesso biologico: denota l’appartenenza da una categoria biologica e genetica, ovvero maschio e femmina ed è un concetto differente da quello di genere che denota l’appartenenza alla categoria sociale e culturale di maschile o femminile costruita sulla base delle differenze biologiche dei sessi, ovvero del sesso maschile e femminile.
L’orientamento sessuale e l’identità di genere indicano la stessa cosa?
No. Molto comune, anche in ambito medico e scientifico purtroppo, è la confusione tra “orientamento sessuale” ed “identità di genere”.
Specifichiamo di seguito le rispettive definizioni:
- l’orientamento sessuale indica la direzione della sessualità in un individuo indipendentemente dal genere a cui tale individuo appartiene: si può essere eterosessuale, omosessuale, bisessuali.
- l’identità di genere è un senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali “maschio/femmina”, ovvero il riconoscimento soggettivo e profondo, conscio e inconscio, di appartenere ad un sesso e di non appartenere all’altro.
Si tratta di un processo di costruzione che prende l’avvio dalla nascita e perdura fino ai 3 anni di vita circa arrivando ad affermazioni quali: “Io sono maschio”, “Io sono femmina”.
Non ci resta che definire il quarto fattore:
- il ruolo di genere: è l’insieme dei comportamenti che, nell’ambito di un dato contesto socio-culturale, sono riconosciuti come propri dei maschi e delle femmine.
Cosa sono dunque le varianze di genere?
Con il termine varianze di genere si vuole indicare, in un’ottica depatologizzante, che al di là della classica dicotomia genderista che considera i generi esistenti solamente due, maschile e femminile, vi possano esistere numerose varianze, definite appunto varianze di genere (Santamaria & Valerio, 2013; Santamaria et. al. 2014).
La varianza di genere è sinonimo di non conformità di genere rispetto alle norme culturali (occidentali) che impongono una certa espressione, un certo ruolo e/o identità di genere al maschio e alla femmina.
Bambini e adolescenti gender variant: chi sono veramente?
I bambini e gli adolescenti gender variant sono, quindi, persone la cui modalità di espressione del genere differisce da ciò che ci si aspetterebbe da loro in base al sesso biologico a cui vengono assegnati alla nascita. (Gender independent, gender non-conforming, gender creative, transgender o nel caso di bambini aborigeni “two-spirited…” ).
Percependo la propria identità di genere incongrua rispetto al proprio corpo e, quindi, al proprio sesso biologico possono essere, per questo motivo, infelici per le caratteristiche fisiche e le funzioni sessuali del proprio corpo ed esprimere il desiderio di essere riconosciuti come appartenenti all’altro genere; possono preferire, inoltre, abiti, giocattoli e giochi che comunemente sono associati all’altro genere, così come amicizie dell’altro genere.
A queste caratteristiche si aggiungono difficoltà a livello emotivo e comportamentale conseguenti al loro disagio e un’enorme sofferenza per la propria condizione, particolarmente in adolescenza.
Cosa vuol dire per un genitore avere un figlio maschio o una figlia femmina?
Una domanda importante:
Quanto contano le aspettative, i desideri, le fantasie di un genitore che mette al mondo un figlio? Rispondere è senz’altro utile in quei casi in cui il processo evolutivo del bambino s’imbatte in difficoltà o blocchi, ma risulta fondamentale quando si tratta di una declinazione di genere che esula dal binarismo maschio/femmina.
In questi casi non si tratta “soltanto” di rinunciare alle aspettative nutrite e poi deluse di non avere “piu” il figlio maschio o la figlia femmina (cosi come messi al mondo secondo il sesso biologico), ci si confronterà con tutta l’inquietudine che comporta rapportarsi con la realtà della varianza di genere, ovvero con il contrasto tra un corpo/involucro che dice “sei A” ed un sentimento/interno che dice “sono B”. Ha dell’incredibile.
Che cosa proponiamo:
In un’ottica depatologizzante, l’intervento psicologico offerto all’adolescente che si percepisce “diverso” secondo il modello delle aspettative sociali, che si chiede “ma sono gay?/e se fossi lesbica?/ma non è che sono bisessuale?” o che vuole affrontare il sua confusione interna o piuttosto le sue difficoltà a vivere in un corpo che non si riconosce perché “non conforme al genere” assegnato alla nascita, mira a fornire uno spazio accogliente scevro dal giudizio in cui poter pensare insieme, all’interno del quale portare dolore e speranze, bisogni e desideri, difficoltà e risorse. È possibile, qualora diagnosticata, occuparsi della disforia di genere, ovvero il disagio e la sofferenza causati dalla discrepanza tra l’identità di genere percepita ed il genere assegnato alla nascita (pertanto si precisa che la non conformità di genere non va confusa con la disforia di genere).
Il termine disforia di genere (DSM V) ha sostituito la vecchia dizione di Disturbo dell’identità di genere, in uso nella quarta edizione del DSM.
Dunque si tratta di un’opportunità che può essere colta per conoscere e comprendere meglio tali realtà, ed anche per prendersi cura della sofferenza che tali realtà possono comportare: viene offerto uno spazio del pensiero dove può trovare accoglienza l’espressione della confusione che si può provare contattando liberamente dubbi e paure, inquietudine e dolore, e dove, se necessario, cominciare ad esprimersi in modo congruente al proprio orientamento sessuale o alla propria identità di genere.
“Come sopportare in me quest’estraneo? Quest’estraneo che ero io stesso per me? Come non vederlo? Come non conoscerlo? Come restare per sempre condannato a portarmelo con me, in me, alla vista degli altri e fuori intanto della mia?”
(Pirandello, “Uno, nessuno, centomila”)
Rispetto all’orientamento sessuale dunque una persona può essere eterosessuale, omosessuale (gay o lesbica) e bisessuale, restando uomo o donna. Non di rado l’omosessualità viene ancora oggi considerata un’anomalia, se non addirittura una (psico)patologia da curare. Alla domanda “perchè lei è omosessuale?” non vi è risposta cosi come non c’è risposta alla domanda “perchè lei è eterosessuale?” (tra l’altro raramente formulata); semmai oggi potremmo chiedere “perche lei è omofobico, ovvero ha ostilità, paura, disgusto verso l’omosessualità e gli omosessuali?”. Ma questo è un tema che meriterebbe uno spazio a parte, lo faremo presto.
L’omosessualità dunque, secondo il nostro approccio, va intesa come una variante non patologica della sessualità umana tano quanto lo è l’eterosessualità.
Nell’ambito della consulenza psicologica offerta, e anche di quello della psicoterapia, può accadere di trovarci di fronte “qualcuno” (adolescente o giovane adulto per lo più) “tormentato” dal dubbio di essere omosessuale: può essere fruttuoso scoprirlo insieme, nel senso che il servizio non offre risposte pre-confezionate ma offre l’aiuto a trovare la risposta predisponendo un setting dove si senta sicuro di esplorare ed esprimere se stesso favorendo l’integrazione delle componenti sessuali e affettive in un’identità coesa, arrivando a fare esperienza di una dimensione più autentica di sé.
Spesso, proprio in famiglia, il bambino prima di capire il significato di parole come “gay” o “lesbica” – qualunque sia la direzione del suo orientamento sessuale – impara prima di tutto che indicano qualcosa di sgradevole: ed ecco che si insinua il timore poi, nel caso di orientamento non “etero-gradito”, della rivelazione e la nascita di un’area segreta sofferente e non condivisibile, e la difficoltà nel fare coming-out (una persona scegli di farlo, diversamente da ciò che indica il termine outing che invece fa riferimento all’azione di svelamento subita, ovvero la rivelazione pubblica sull’orientamento sessuale di un individuo fatta da altri).