Disturbi di personalità – Un punto di vista psicoanalitico
I disturbi di personalità sono un gruppo di disturbi definiti dalla quarta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV), come “modelli duraturi di esperienza interiore e di comportamento” che siano sufficientemente rigidi e profondi da portare una persona in conflitto ripetuto con il suo ambiente sociale e professionale.
DSM-IV specifica che questi schemi disfunzionali devono essere considerati come non conformi o devianti dalla cultura della persona, e causano notevoli dolori emotivi e/o difficoltà nelle relazioni e le prestazioni professionali.
La classificazione dei disturbi di personalità in 3 Cluster:
- CLUSTER A (paranoide, schizoide, schizotipico) – I pazienti appaiono strani o eccentrici agli altri
- CLUSTER B (antisociale, borderline, istrionico, narcisistico) – I pazienti sembrano troppo emotivi, instabili, e drammatici
- CLUSTER C (evitante, dipendente, ossessivo-compulsivo) – I pazienti sembrano tesi e angosciati
L.I.A.F, attraverso l’ottica Psicoanalitica, propone un modo nuovo di concepire e trattare i disturbi di personalità che vada oltre la Diagnosi.
Dal punto di vista Psicoanalitico possiamo dire che la struttura di personalità in generale rappresenti la più evoluta forma di adattamento che ogni persona possa inconsciamente organizzare allo scopo di entrare in sintonia o adeguarsi con il mondo circostante.
Allo stesso modo andrebbero considerati gli aspetti sintomatologici della persona e quindi i disturbi di personalità veri e propri:
Configurazioni di personalità originate da condizioni di elevata difficoltà emotiva e di disadattamento all’ambiente a cui l’individuo risponde attraverso modalità relazionali rigide e ripetitive che si rivelano autolesive.
La differenza tra un’organizzazione di personalità così detta normale ed una organizzazione di personalità patologica (il disturbo di personalità appunto ) sta nel fatto che la prima è funzionale alla crescita ed allo sviluppo della persona mentre l’altra è disfunzionale, non si dirige cioè verso crescita e lo sviluppo della persona ma, verso l’arresto dello sviluppo e, nei casi più gravi, verso condotte sostanzialmente autodistruttive.
Le caratteristiche dei disturbi di personalità
Le persone che vivono ed a volte manifestano un disturbo di personalità si distinguono per la rigidità della propria condotta e per la disfunzionalità della stessa. In questi casi appare da subito evidente l’impossibilità di trovare compromessi o di mediare con la persona che manifesta il disturbo.
La rigidità, nel disturbo di personalità, contiene in se’ una fragilità di fondo: la “sensazione di non poter fare diversamente”, che da chi ne soffre viene spesso descritta come la sensazione di “andare in pezzi” o di “sprofondare nel vuoto”.
La condotta in questione, che viene definita disturbo di personalità pertanto “serve” al soggetto a far fronte ad un sentimento pervasivo di sofferenza eccessiva.
Le compulsioni ad esempio, che caratterizzano certi tipi di disturbi ossessivi, costituiscono una risorsa per una persona, la quale grazie al loro impiego riesce a colmare, o forse è meglio dire “spostare”, un senso di vuoto impossibile da sopportare.
Attraverso l’ottica onnicomprensiva e non giudicante la Psicoanalisi ci aiuta a comprendere come una persona possa trovare paradossalmente contenimento grazie ad una condotta che di fatto si rivela disfunzionale.
Questo grande paradosso, che fa “passare” il sintomo per “cura” scelta inconsapevolmente da un individuo per fronteggiare livelli di angoscia sentiti come eccessivi, indica come lo smantellamento del sintomo, a cui si rivolgono molte forme di Psicoterapia ma non la Psicoanalisi, rappresenti il più grave errore che lo Psicologo possa commettere, in quanto espropria la persona delle proprie difese grazie alle quali si difende da un angoscia insostenibile.
L’alternativa non sarà di certo abbandonare un individuo al suo disturbo di personalità ma avviare un processo psicoanalitico che consenta di condividere l’esperienza dolorosa o traumatica e comprenderla per destrutturare le risposte che un soggetto mette in atto per fronteggiarla (che costituiscono il disturbo di personalità) .
La Psicoterapia Psicoanalitica, che comincia dell’accoglienza del sintomo e quindi delle difese psichiche messe in atto dalla persona, avvia e consente un’esperienza alternativa, quella del riconoscimento della natura del sintomo e della sua funzionalità. Tale consapevolezza depotenzia ed invalida il sintomo (disturbo).
Il processo Psicoanalitico quindi agisce attraverso l’elaborazione di nuove strategie d’azione che sostituiscono e sovvertono quelle disfunzionali che costituiscono il disturbo di personalità.
Il disturbo si evidenzia nella mancanza di elasticità d’azione e si attesta nella ripetitività di un comportamento.
È importante inoltre considerare l’arbitrarietà con cui troppo velocemente vengono fatte diagnosi di disturbi di personalità.
Va precisato infatti che non è sufficiente notare delle condotte specifiche per definire e accertare un disturbo di personalità.
Di momenti di vita aggressivi, antisociali, narcisistici, depressivi, deliranti, iperattivi, dissociativi, idealizzanti e potremmo continuare, ne è piena la vita delle persone. La distinzione tra questi momenti che possono derivare da tratti caratteriali vari e propri e i disturbi di personalità è notevole.
Si parla di disturbi di personalità quando il tratto caratteriale è così marcato e pervasivo da diventare struttura di personalità.
In quest’ultimo caso per una persona non è possibile trovare compromessi per non agire il sintomo e si sente costretta ad eseguire certe azioni come se le venissero imposte.
Il disturbo ossessivo-compulsivo ne è un esempio. In questo caso la persona si sente costretta e non riesce a fare a meno di ripetere certe azioni che vengono definite compulsioni.
Il disturbo di personalità rappresenta un’ organizzazione di personalità rigida e strutturata che cela una paura eccessiva di fondo cui la persona fa fronte attraverso condotte ripetitive e disfunzionali che servono a contenere un’ansia sentita come distruttiva.
L’esordio…
Spesso disturbi di personalità fanno il loro esordio nel periodo post-puberale o nella pre-adolescenza.
Risultano per questo poco appropriate diagnosi di disturbo della personalità rivolte a bambini sulla base del fatto che le personalità dei bambini sono ancora in fase di formazione e possono variare notevolmente fino al momento della tarda adolescenza.
L’importanza attribuita all’adolescenza dipende dal fatto che è a seguito dei grandi stravolgimenti che avvengono in questo periodo di vita che la struttura di personalità può subire notevoli contraccolpi che, quando non metabolizzati o meglio integrati, possono determinare e conclamare disturbi di personalità.
Le più importanti rivoluzioni provocate dall’adolescenza possono essere più semplicemente descritte come Rivoluzione Identitaria, che impone l’accettazione post-pubertaria del corpo sessuato, e come consolidarsi di dinamiche separative dalla famiglia che indicano l’avvio del Processo Separativo dalla condizione di Onnipotenza Infantile.
Lo stravolgimento di un adolescente rispetto a questi sentimenti latenti di cui non è mai consapevole, ma anche la difficoltà a superarli, consiste nella conflittualità insita tanto nella richiesta di privacy (che allo stesso tempo può essere sentita come solitudine) quanto nella ricerca di indipendenza (che a volte può essere confusa con un senso di abbandono).
I terremoti adolescenziali spesso liberano intense emozioni che possono anche essere avvertite come forma di angoscia. A questa carica emozionale sentita come incontenibile l’adolescente deve riuscire a far fronte per poter andare avanti.
In questo importante periodo del ciclo di vita dell’adolescente l’ambiente esterno assume notevole importanza in quanto consente di trovare nuove relazioni che consentano di sperimentare e di dare sfogo ai grandi movimenti interni che consistono sostanzialmente nello sviluppo sessuale e nel processo di indipendenza.
Nelle situazioni in cui l’adolescente non riesce a trovare la giusta distanza dal genitore, questi due grandi motori dell’emotività adolescenziale possono rallentare la loro azione ed a volte incepparsi.
Converremo tutti sul fatto che la sessualità adolescenziale, a differenza di quella infantile, non trovi più il proprio oggetto d’amore in famiglia e che il senso di autonomia e di indipendenza, che trova la sua misura nella sensazione di autostima e nella prospettiva di autoefficacia, non possa essere accertato dell’adolescente stesso all’interno di una condizione di dipendenza dalla famiglia.
Il destino dall’adolescenza sembra essere lontano da casa ma quando questa separatezza non è concepibile, tanto dai genitori quando dai figli, non possiamo che constatare (la clinica del disagio adolescenziale c’è lo insegna) l’interruzione degli investimenti oggettuali e del processo che si pone come obiettivo finale l’autonomia e l’indipendenza.
La nascita di un disturbo di personalità ed il punto di vista Edipico
Ma proviamo a capire quale circostanza preclude ad un adolescente di dar voce a questi due “moti adolescenziali” rappresentati dall’accettazione di un’identità sessuata e dalla necessaria attestazione della propria autonomia.
Le scelte identitarie sono determinate dal limite imposto della legge del padre che si pone come terzo consentendo al bambino la separazione dalla madre (J. Lacan).
Il punto di vista Edipico ci consente di focalizzare due grandi conflitti che caratterizzano le relazioni interpersonali e che hanno a che fare con l’espressione di bisogni e desideri: il diritto di accedere al proprio desiderio e la paura di essere puniti per questo.
L’Edipo nei disturbi di personalità
La configurazione edipica scaturisce dal passaggio da una posizione bidimensionale madre-bambino ad una posizione triangolare madre-bambino-padre. Possiamo anche descrivere la posizione bidimensionale come soggetto-desiderio e quella triangolare come soggetto-desiderio-ostacolo.
Nella posizione bidimensionale anti-edipica non esiste il divieto ed il confine tra il soggetto ed il suo desiderio è sfumato. Non esiste la legge, direbbe Lacan, tutto è concesso.
Nella posizione triangolare, edipica, il soddisfacimento di un bisogno e la realizzazione del desiderio implica il superamento di un ostacolo o in ogni caso il riferirsi alla legge, del padre direbbe Lacan, che può diventare censura o che può essere superata… (la rivoluzione edipica)
Le strutture di personalità sembrano notevolmente influenzate dal prevalere e dell’una o dell’altra posizione.
Il conflitto che può affliggere la vita di un individuo immerge le sue radici nei suoi bisogni primari.
Dato un bisogno primario, che Freud chiamava pulsione, viene individuata o meglio identificata una meta: l’oggetto della pulsione. Il suo raggiungimento comporta sempre il superamento di un ostacolo.
- Se l’ostacolo non è percepibile dal bambino (posizione bidimensionale) significa che non c’è distanza tra se’ e l’oggetto e che la meta della pulsione è già in se’…
Quando i confini tra il se e l’altro sono sfumati è breve il passo tra l’essere in possesso di ciò che si desidera e l’essere ciò che si desidera. Stiamo parlando della relazione fusionale con l’oggetto che implica l’intollerabilità della mancanza, dell’attesa, del silenzio.
L’assenza dell’ostacolo, e quindi della legge, che si frappone tra il soggetto e l’oggetto si esprime attraverso l’inaccettabilità del limite, l’impossibilità cioè di sopportare la mancanza, o per dirla con Freud di fare il lutto di ciò che si è perso (fenomeno pervasivo della nostra società).
I disturbi di personalità che si avvicinano al polo della fusionalita’ con l’oggetto e che si esprimono attraverso l’intollerabilità e nell’inpensabilità del divieto rimandano a disturbi di personalità caratterizzate da senso di onnipotenza e da pensieri deliranti che ritroviamo spesso in relazioni sentimentali frequenti caratterizzate da legami disfunzionali.
- L’eccessiva presenza dell’ostacolo invece, Freud direbbe di un Super-Io severo, si esprime attraverso l’insuperabilità dei limiti ed il pervasivo sentimento di essere castrato (fenomeno che ritroviamo nel ritiro e nell’inibizione sociale).
I disturbi di personalità che si avvicinano al polo castrante dell’inaccessibilità al proprio desiderio sono caratterizzati dalla tendenza al controllo ed alla difficoltà di stabilire legami emotivi.
Dalle possibilità sopra indicate è possibile inquadrare i disturbi di personalità in due grandi aree. In entrambi i casi sembra non potersi risolvere la questione edipica o perché l’oggetto del desiderio è irraggiungibile o perché è fuso col soggetto e quindi “sempre presente”.
In entrambi i casi a fallire è la funzione paterna intendendo con essa la funzione di interruzione e di cesura del legame diadico e fusionale madre-bambino (vedi: La figura del padre nelle nostre famiglie).
La non cesura della relazione fusionale madre-bambino, che avviene per intercessione del padre, da un lato relega il figlio in una eterna posizione di dipendenza, e quindi di incapacità, dall’altro lo abbandona all’illusione ed alla fantasia di essere onnipotente.
Questo stallo non consente la posizione depressiva. Con questo concetto Melanie Klain descrive “la capacità di poter sopravvivere nonostante la perdita degli oggetti d’amore a cui siamo legati”.
La difficoltà a separarsi da oggetti, intendendo più concretamente sia oggetti materiali come tablet, videogames o profili social sia persone identificate come oggetti, rappresenta un fenomeno attuale della società moderna. L’impossibilità di separarsi, espressa dal sentimento di autodistruzione avvertito quando l’oggetto si separa o dalla distruzione dell’oggetto stesso, ai fini di negare la separazione, rappresenta la crisi della posizione depressiva.
Il sostegno rivolto al disturbo di personalità
Trasformare il disturbo di personalità in una modalità relazionale più evoluta significa comprendere i vissuti inaccessibili della persona e non eliminare il sintomo.
I disturbi di personalità si trovano, fino quasi a coincidere, in prossimità dei due poli di un esteso continuum costituito dal polo della legge e dal suo opposto anarchico.
A definire la posizione di ognuno di noi all’interno di questo continuum è l’interpretazione soggettiva della questione edipica.
Più i divieti appaiono insuperabili più ci si avvicina al polo della legge e del divieto che si traduce nel senso di castrazione di non essere liberi di soddisfare il proprio desiderio, tipico delle nevrosi.
Più i divieti appaiono sfumati, fino al non essere pensabili, più ci si avvicina al polo anarchico e della psicosi, che si traduce nel sentimento onnipotente di poter essere tutto e allo stesso tempo di non essere niente…
La difficoltà della famiglia e delle coppie genitoriali in primis consiste pertanto nel consentire al figlio di trovare il giusto equilibrio. Questo può essere raggiunto attraverso la capacità di sostenere il desiderio del figlio reale (che non è mai il “figlio sognato” dal genitore) pur mantenendo la propria sicurezza e stabilità emotiva che consiste nel sistema di “leggi” familiari.
L’impresa sembra impossibile ma forse è anche per questo che il “mestiere del genitore” è il più difficile del mondo.