10 Giu 2018

Dott. Corrado Randazzo

Sintomatologie

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Premessa

Il comportamento alimentare delimita il campo della relazione soggetto-oggetto al rapporto tra una persona ed il cibo. Tale condotta è strettamente connessa al periodo del ciclo di vita in cui assume centralità il corpo e per questo va inquadrata prevalentemente in adolescenza che di fatto rappresenta il momento in cui si manifesta un disturbo dell’alimentazione e nei casi più gravi si struttura come disturbo di personalità.

I disturbi del comportamento alimentare (DCA) o disturbi dell’alimentazione  rappresentano delle rigidità emotive e sono caratterizzati da una alterazione delle abitudini alimentari.

I comportamenti tipici di un disturbo dell’alimentazione sono: la diminuzione dell’introito di cibo, il digiuno, le crisi bulimiche (ingerire una notevole quantità di cibo in un breve lasso di tempo), il vomito per controllare il peso, l’uso di anoressizzanti, lassativi o diuretici allo scopo di controllare il peso, un’intensa attività fisica.

La differenza tra condotte e strutture

Alcune persone possono ricorrere ad uno o più di questi comportamenti, ma ciò non vuol dire necessariamente che esse soffrano di un disturbo dell’alimentazione. Ci sono infatti dei criteri diagnostici ben precisi che chiariscono cosa debba intendersi come patologico e cosa invece non lo è.

Va infatti considerata la differenza tra condotta di personalità e disturbo di personalità. Nel primo caso si fa riferimento ad una modalità relazionale non strutturata e che pertanto, se adeguatamente curata attraverso la psicoterapia psicoanalitica, può avere carattere temporaneo. In questi casi si parla di tratto di personalità o di condotta di personalità. Nel secondo caso invece ci si riferisce ad un tratto di personalità quantitativamente più marcato e che si consolida pertanto come aspetto imprescindibile per la persona, divenendo a tutti gli effetti struttura di personalità e configurandosi quindi come disturbo di personalità.

Le due differenti condizioni implicano altrettanti differenze nei trattamenti. Mentre nei casi di condotta di personalità è possibile sostenere la persona attraverso la psicoterapia psicoanalitica, nei casi di strutture di personalità è necessario affrontare il disturbo associando alla psicoterapia una buona farmacoterapia e nei casi più gravi l’ospedalizzazione o il ritiro in comunità.

 

I principali disturbi dell’alimentazione

Sono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata (o binge eating disorder, BED); i manuali diagnostici, inoltre, descrivono anche altri disturbi correlati, come i disturbi della nutrizione (feeding disorders) e i disturbi alimentari sottosoglia, categoria utilizzata per descrivere quei pazienti che pur avendo un disturbo alimentare clinicamente significativo, non soddisfano i criteri per una diagnosi piena.

Soffrire di un disturbo dell’alimentazione sconvolge la vita di una persona e ne limita le sue capacità relazionali, lavorative e sociali. La persona che soffre di un disturbo dell’alimentazione manifesta consapevolmente una serie di paure come ad esempio la paura di ingrassare ma le dinamiche inconsce che determinano realmente la condotta in questione hanno a che fare con paure molto diverse, meno riconoscibili dal soggetto stesso, come ad esempio le paure di crescere, di diventare autonomi, di separarsi dagli affetti più significativi e in particolar modo dall’emergenza imposta dalla “Integrazione del corpo sessuato”, che designa la nascita della sessualità e che non sempre è “approvata/tollerata” dall’ambiente familiare.

Le angosce che scaturiscono dalle suddette dinamiche limitano ed a volte pregiudicano la relazione sociale. Segnali che indicano difficoltà in tal senso sono i rifiuti a partecipare ad incontri con amici che abbiano come sfondo cene o pranzi o momenti conviviali in cui il cibo è protagonista.

Spesso i pensieri sul cibo assillano la persona anche quando non è a tavola, ad esempio a scuola o sul lavoro; terminare un compito può diventare molto difficile perché in mente sembra che ci sia posto solo per i pensieri su cosa si “deve” mangiare, sulla paura di ingrassare o di avere una crisi bulimica.

Solo una piccola percentuale di persone che soffrono di un disturbo dell’alimentazione chiedono aiuto. Nell’anoressia nervosa questo può avvenire in quanto la persona non sempre si rende conto di avere un problema. Anzi, all’inizio, la perdita di peso può far sentire la persona meglio, più magra, più bella e più sicura di sé.

 

Il funzionamento patologico

Lo strutturarsi della condotta alimentare disfunzionale è dovuto al fatto che benché per un verso tali agiti determinano un deperimento (spesso riconosciuto come aspetto negativo) per l’altro restituiscono al soggetto la percezione di onnipotenza da intendersi come “sensazione di poter controllare il cibo” o, nei casi più difficili da affrontare, come “convinzione di poter fare a meno del cibo”. In quest’ultima situazione è evidente la precarietà dell’esame di realtà e la ricaduta in un “pensiero magico” ed è pertanto identificabile un consolidarsi del sintomo.

Quando le cose cominciano a preoccupare, perché la perdita di peso è eccessiva o comunque comporta un cambiamento importante del corpo, molte persone non sanno come affrontare l’argomento. In genere sono i familiari che, per primi, allarmati dall’eccessiva perdita di peso, si rendono conto che qualcosa non va. Anche per loro però non è facile intervenire, soprattutto quando la figlia o il figlio non hanno ancora nessuna consapevolezza del problema e rispondono con frasi come “non ho nessun problema… sto benissimo!”.

Anche chi soffre di bulimia nervosa spesso si rivolge ad un terapeuta solo dopo molti anni da quando il disturbo è cominciato; come nell’anoressia, inizialmente non si ha una piena consapevolezza di avere una malattia. Il fatto di non riconoscere di avere un problema o di usare i sintomi del disturbo alimentare per cercare di risolvere le proprie difficoltà può avere delle importanti conseguenze sulla richiesta di un trattamento.

Una caratteristica quasi sempre presente in chi soffre di un disturbo alimentare è l’alterazione dell’immagine corporea che può arrivare ad essere un vero e proprio disturbo. Spesso chi soffre di anoressia non riesce a giudicare il proprio corpo in modo obiettivo; l’immagine che rimanda lo specchio è ai loro occhi quella di una ragazza coi fianchi troppo larghi, con le cosce troppo grosse e con la pancia troppo “grande”. Tale fenomeno prende il nome di Dismorfismo corporeo.

Per le persone che soffrono di bulimia nervosa l’angoscia può essere ancora più forte per il fatto che il fatto di perdere il controllo sul cibo fa percepire il peso corporeo (che molto spesso è normale) come eccessivo. Sia nell’anoressia nervosa che nella bulimia nervosa, la valutazione di sé stessi dipende in modo eccessivo dal peso e dalla forma del proprio corpo.

Spesso il disturbo alimentare è associato ad altre patologie psichiatriche, in particolare la depressione, ma anche i disturbi d’ansia, l’abuso di alcool o di sostanze, il disturbo ossessivo-compulsivo e i disturbi di personalità. Possono essere presenti comportamenti autoaggressivi, come atti autolesionistici (ad esempio graffiarsi o tagliarsi fino a procurarsi delle piccole ferite, bruciarsi parti del corpo) e tentativi di suicidio. Questo tipo di disturbi occupano uno spazio molto particolare nell’ambito della psichiatria, poiché oltre a “colpire” la mente e quindi a provocare un’intensa sofferenza psichica, essi coinvolgono anche il corpo con delle complicanze fisiche talvolta molto gravi.

I principali disturbi dell’alimentazione e della nutrizione sono:

  • Anoressia nervosa
  • Bulimia nervosa
  • Disturbo da alimentazione incontrollata
  • Disturbi alimentari sottosoglia
  • Disturbi della nutrizione (feeding disorders)

 

Anoressia nervosa

Le persone che soffrono di anoressia nervosa hanno pensieri e preoccupazioni costantemente rivolti al controllo del cibo e del corpo. Sembrano persone dure e determinate, ma in realtà esprimono una forte fragilità. Ogni eccesso, ogni rigidità, ogni bisogno improrogabile infatti va considerato come un bisogno estremo, imprescindibile e ciò indica una notevole paura di non poter sopravvivere senza l’appagamento di quel bisogno. Ne derivano comportamenti rigidi, strutturati, comportamenti obbligati, l’impossibilità di mediare, di scendere a patti.

Per l’anoressia la condotta alimentare è una questione di sopravvivenza e per questo tale condotta esprime la profonda paura di scendere a compromessi o di mediare. Una persona anoressica “non può assolutamente rinunciare alla propria condotta” pena l’angoscia di frammentazione, la paura di andare in pezzi.

Le cause di questa profonda convinzione sono ovviamente fuori dalla portata della consapevolezza (se così non fosse sarebbe possibile “ridiscutere” la questione) e vanno per questo indagate e risolte a livello Psicoanalitico. Solo la possibilità infatti di rendere manifesti i contenuti latenti dell’anoressia, consentirebbe di svelare e rimodulare l’interpretazione che l’anoressico si è fatto del mondo. Sembra evidente infatti che l’anoressico abbia per qualche motivo strutturato un pensiero inconscio secondo cui l’assunzione di cibo è un processo negativo per la propria sopravvivenza e per il proprio benessere.

Va inoltre sottolineato che ogni persona ha sempre dei “motivi” ritenuti logici, (anche se disfunzionali e patologici) per assumere un determinato comportamento e che tali motivi nascono e si consolidano nell’ambiente in cui la persona nasce, cresce e costruisce le proprie teorie sul mondo.

Va precisato che, trattandosi di casi in cui il disagio psichico si esprime attraverso il corpo, la cura deve prendere in carico integralmente la persona. Pertanto, per quanto ogni disagio abbia le proprie radici nel mondo interno ed emotivo della persona, è necessario nei casi più gravi, come può essere un’anoressia conclamata, dare priorità al corpo ed affiancare sempre il sostegno medico a quello Psicoanalitico. In tal senso non sembra ad oggi possibile prescindere dal trattamento psicofarmacologico ed ospedaliero a seconda dei casi.

Va aggiunto che per sua natura, la condotta anoressica tende a rifiutare ogni forma di nutrimento. Tra le forme di nutrimento rientrano ovviamente anche quei tentativi di aiuto e di sostegno proposti tanto dalla famiglia quanto dalla psicoterapia. È molto difficile pertanto accettare la cura proprio perché essa stessa rappresenta un cibo da assimilare da cui l’anoressia si difende strenuamente.

La domanda è “difendersi da cosa”? Perché il nutrirsi dovrebbe spaventare? Quali sono le reali paure?
L’anoressia dà l’illusione di essere una via d’uscita, un modo di controllare proprio queste paure. La polarizzazione dei pensieri sulle problematiche relative al cibo e al corpo rende le persone meno sensibili agli aspetti emotivi, a scapito però della capacità di entrare in contatto con gli altri e di godere delle emozioni positive.

Molti sono i rituali che accompagnano le preoccupazioni riguardo al controllo del corpo e dell’assunzione di cibo. Alcune  pazienti contano le calorie di tutto quello che mangiano, mentre altre preparano sofisticate ricette non per sé ma per i familiari. In alcuni casi vengono messi in atto dei veri e propri “rituali” come impiegare tantissimo tempo per mangiare anche piccole quantità di cibo, sminuzzare il cibo in tante piccolissime parti, accumularlo o nasconderlo, oppure mangiare solo determinati alimenti cucinati in un modo particolare.

Le persone che soffrono di anoressia nervosa nonostante la magrezza evidente, sono incapaci di vedersi magre o comunque hanno un’immagine corporea alterata. Anche la loro autostima è strettamente legata al peso e alla forma del corpo: la perdita di peso è considerata una conquista ottenuta grazie all’autodisciplina e al rigido controllo.

Alcune caratteristiche psicologiche frequentemente descritte nei pazienti con anoressia nervosa sono:

  • depressione
  • perfezionismo
  • bassa autostima
  • difficoltà interpersonali
  • paura di crescere

 

La bulimia nervosa

La bulimia nervosa (che etimologicamente significa “fame da bue”) si caratterizza per la presenza di crisi bulimiche (o “abbuffate”) a cui seguono comportamenti di compensazione per cercare di evitare l’aumento di peso. Le crisi bulimiche sono episodi in cui una persona ingerisce, spesso senza sentirne il sapore, grandi quantità di cibo perdendo letteralmente il controllo sul suo comportamento alimentare. Una crisi bulimica ha generalmente una durata limitata nel tempo, ma alcune persone che soffrono di questo disturbo possono averne molte nell’arco delle stessa giornata. Di solito vengono ingeriti cibi che la persona non si concede abitualmente con una preferenza per i dolci ed i cibi ad alto contenuto calorico o di grassi. Alcune persone possono perdere talmente il controllo sulla propria alimentazione da ingerire cibi avariati, crudi, o miscugli di qualsiasi composizione.

L’esordio della bulimia nervosa si verifica di solito in seguito ad una dieta ipocalorica o ad un rapido dimagrimento (che può anche essere un episodio di anoressia nervosa) a volte associati ad eventi stressanti o ad un vero e proprio trauma emotivo. Se all’inizio la crisi bulimica può essere saltuaria o occasionale col passare del tempo può diventare una compulsione a cui è difficile sottrarsi.

Nelle persone che soffrono di bulimia nervosa, l’attenzione e l’insoddisfazione nei confronti del proprio corpo e dell’aspetto fisico può assumere un’importanza eccessiva ed assoluta. La stima di sé è fortemente legata al corpo e ogni modificazione fisica può essere vissuta come una frustrazione e come una perdita di controllo sul proprio corpo.

Le conseguenze emotive di una crisi bulimica possono essere diverse; in alcuni casi le persone riferiscono di provare un temporaneo sollievo e senso di piacere. Gli studi mostrano un effetto delle crisi bulimiche nella regolazione degli stati emotivi negativi, che spiegherebbe in parte la ‘dipendenza’ dal cibo in chi soffre di questo disturbo. Come nella maggior parte dei disturbi alimentari in cui compaiono le abbuffate, di solito questi effetti “positivi” sono ben presto sostituiti da una profonda angoscia per la possibilità di ingrassare e perché non si è stati capaci di controllarsi. I metodi di compensazione, soprattutto il vomito, possono dare la temporanea sensazione di alleviare l’ansia, ma dopo può comparire un senso di vuoto che può innescare una nuova abbuffata. Il vomito, in particolare, ha anche un ruolo ‘fisiologico’ nel rischio di avere ulteriori crisi bulimiche: l’aumento dell’insulina e l’ipoglicemia che segue gli episodi di vomito possono infatti determinare un aumento della fame e innescare una nuova crisi bulimica. Il vomito ripetuto, inoltre, secondo alcuni studi, determinerebbe una diminuzione del metabolismo basale.

Un sentimento quasi sempre presente è quello della vergogna e della colpa. Ed è per questo che spesso la malattia viene nascosta ai familiari e agli amici il più a lungo possibile e in molti casi la richiesta di aiuto viene fatta dopo molto tempo che il disturbo è cominciato.

La bulimia nervosa non stravolge solo i comportamenti alimentari, ma anche altre aree importanti della vita della persona. Può capitare di rinunciare alle situazioni sociali che comportano lo stare a tavola con gli altri, oppure di diventare ansiosi e irritabili.

 

Il Trattamento dei disturbi dell’alimentazione

Il trattamento delle dinamiche disfunzionali relative al comportamento alimentare varia a seconda che si tratti di condotte di personalità o strutture di personalità (vedi La differenza tra condotte e strutture)

Trovarsi nell’ambito della condotta di personalità anoressica, ad esempio, significa che la persona assume una certa modalità relazionale rispetto al cibo per difendersi da paure non riconoscibili. Spesso tali paure hanno a che fare con l’emergere di pensieri che riguardano il proprio senso di autonomia che a sua volta rimanda ad ansie separative, legate al naturale processo di crescita.

Spesso l’esordio di condotte anoressiche o bulimiche si rintraccia in adolescenza proprio perché è proprio questo un momento che più di ogni altro rievoca la separazione dalla famiglia e la percezione di un cero senso di autonomia. Inoltre l’adolescenza designa la scoperta del corpo sessuato che rimanda ad un senso di intimità e riservatezza che in certi casi viene sentito da questi adolescenti come “proibito”.

La psicoterapia psicoanalitica mira al riconoscimento di quelle paure che precludono il normale rapporto col cibo, riportando la persona sul tema reale che riguarda la difficoltà a rapportarsi e in particolare a desiderare, a nutrirsi del mondo esterno.

Le principali dinamiche prevalentemente riscontrate nella psicoterapia delle condotte disfunzionali in relazione al comportamento alimentare riguardano:

  • La paura di crescere
  • Il timore di separarsi dai genitori
  • La sensazione di non essere in grado di badare a se stessi
  • Il timore della non approvazione dei propri desideri sessuali
  • La paura di sentirsi desiderati dall’altro
  • Le dirompenti angosce di inadeguatezza

Quando si rientra invece nell’ambito della struttura di personalità ci troviamo, dinnanzi a problematiche più profonde e radicate in risposta alle quali il soggetto ha costruito e basato il proprio sviluppo e sulle quali ha consolidato le proprie modalità relazionali.

Le strutture di personalità bulimiche o anoressiche mettono in evidenza una difficoltà metabolica rappresentata dalla difficoltà manifesta a regolare i flussi di cibo in entrata ed uscita ed a trattenerlo. L’esigenza metabolica rappresenta la funzione equilibrata di un corpo che si adopera per la propria sopravvivenza. Di conseguenza il suo fallimento rimanda ad un senso di precarietà che pregiudica la sicurezza della sopravvivenza. In anoressia ad esempio tale precarietà è agita ed esasperata. L’anoressia mira al processo inverso all’auto conservazione che potremmo definire auto deperimento o autodistruzione. Tale dinamica anomala ed innaturale lascia ipotizzare l’esistenza di significati profondi e difficili da rintracciare.

Di fatto in questi difficili casi, sembra esprimersi un rifiuto della fonte di nutrimento, un rifiuto della cura, un rifiuto del benessere. Il corpo che mira a sparire sembra rifiutare ogni ideale di bellezza, di fascino, di attrattivita’. Le conseguenze indirette di tali strutture di personalità provocano dolore e sofferenza a se stessi ed ai familiari. Non sembra possibile poter prescindere dal valutare il significato di tali attacchi come profondi  sentimenti di odio non esprimibili in parole.

L’obiettivo di una buon percorso Psicoanalitico è di dar voce a questi significati nascosti, così che possano essere espressi attraverso la parola è non attraverso il corpo. Va tuttavia considerato il fatto che tali condotte disfunzionali sono avvertite dal soggetto che le mette in atto come “Vitali”. Pertanto è molto difficile un inversione di rotta anche se possibile.

Le principali dinamiche prevalentemente riscontrate nella psicoterapia delle strutture disfunzionali in relazione al comportamento alimentare riguardano :

  • Bisogno di poter controllare la fame
  • Bisogno di conoscere la qualità calorica dei cibi
  • Paura del cibo
  • Negazione del proprio desiderio sessuale
  • Negazione di sentimenti di amore
  • Profondi sentimenti di odio non elaborati (rivolti di relazioni più importanti)

La negazione e l’inaccessibilità dei naturali sentimenti di rabbia che consentono al bambino di mettere in atto i propri movimenti separativi durante l’infanzia, provoca un turbamento quando in adolescenza tali movimenti separativi riemergono. Sembra che tali quote separative diventino troppo forti da provocare una rabbia che si rivolge direttamente al cibo (seno) ed indirettamente al corpo.

Il trattamento dei DCA può avere successo solo grazie ad una rimodulazione,  da parte del soggetto, del rapporto con l’oggetto primario e per questo è necessario una trasformazione delle idee relative al nutrirsi ed al crescere. Tale trasformazione, che comincia con la psicoanalisi, deve trovare un corrispettivo nell’ambiente familiare delle persone che soffrono di DCA. Pertanto nel trattamento Psicoterapeutico va inclusa la famiglia e nei casi più gravi si può ricorrere al trattamento ospedaliero ed alle comunità.

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